Raccoglitore di cavi, tecnico delle luci, fonico, batterista, solo alla fine, adesso, oggi, cantautore.
Nico Arezzo arriva al palco circumnavigandolo da tutte le prospettive possibili, ed anche quelle un pizzico impossibili, perché non è mica detto che chi arriva davanti ad un microfono abbia gravitato nel dietro le quinte, così a fondo.
Del 1998, animo iperattivo e sorriso contagioso, di quelli che se lo incroci, non puoi fare a meno di sorridere anche tu di riflesso.
Siciliano fiero, nasce a Ragusa, in mezzo alla musica e all’arte di un papà musicista e una mamma danzatrice. E sceglie liberamente di appartenere alla musica, perché non poteva fare altrimenti, per doti naturali e carisma spiccato.
Una scelta che diventa scelta consapevole, solo dopo la maturità scolastica, quando arriva a Bologna.
In mezzo, tante esperienze, dal primo premio di Festival Show 2017 all’Arena di Verona, ai bootcamp di XFactor 11, solo sfiorati ma indimenticabili, tra gli otto vincitori di Musicultura 2024.
Dalla strada percorsa nasce, finalmente, il primo album da solista, pubblicato qualche settimana fa: “Non c’è mare”.
«È stato un processo evolutivo sotto ogni punto di vista, lo vedo come una sorta di sfogo liberatorio, era qualcosa di irraggiungibile la pubblicazione di un album, perché ho sempre rimandato, fin quando mi sono ritrovato indipendente, finché ho avuto la possibilità di scegliere cosa pubblicare. Ho detto: mi chiudo in una stanza, capisco cosa mi piace, cerco di mettere insieme e do una linea comune e vediamo cosa esce fuori.»
Tredici brani, di cui uno “Nicareddu” (quest’ultimo, registrato nella suggestiva Cava Gonfalone di Ragusa) come una eco lascia che risuoni quel senso di appartenenza alla Sicilia che non ha mai sbiadito, nonostante la sua indole andante. Ed è in Sicilia, proprio a casa sua che registra in due settimane l’intero album.
«Da una situazione piccola del sud, a Ragusa, con le piccole cose meravigliose, a Bologna. Qui basta fare una passeggiata per trovare un concerto punk e poi uno jazz in cinquanta metri di distanza. Questa città mi ha aperto la testa e mi ha fatto scoprire input incredibili.
È arrivata anche la Sicilia, perché poi la cosa meravigliosa è continuare a percepire e quindi parlare per forza di quello che è casa mia, “Non c’è mare” è proprio quello: bello tutto ma a Bologna non c’è il mare, casa mia non è questo.»
Un album che «credo sia il riassunto di quello che mi piace, ho la sensazione che chi non mi conosce e va ad ascoltarmi ha la possibilità di conoscere chi sono. Dalla parte deep, malinconica, alla parte più stupida, ho lasciato un pezzettino di me.»
Senza vincoli di etichette o definizioni, nasce come soul, funky e dentro fa tutto ciò che sente di fare, a partire da una scrittura che coglie le minuscole cose quotidiane, innalzandole di senso e riportandole alla vista di chi ascolta.
«Come lo spazzolino, non c’è nessun processo studiato, mi sono veramente reso conto di guardare lo scaffale degli spazzolini da dieci minuti. Mi sono fermato e mi sono reso conto che in realtà il motivo è un altro: non stavo comprando lo spazzolino, stavo firmando un passaggio relazionale.»
È questione di equilibrio e di scelte, come del resto la vita stessa, anche la musica.
Una creatività che bussa con forza, e il desiderio di lasciarla libera di esprimersi, non prescindono dalla necessità di farsi spazio in un mondo sicuramente poco incline al sentire e più vicino all’impatto superficiale.
Nico Arezzo cammina a passo suo, occhi aperti, penna semplice ma mai banale e un’autenticità che merita d’essere vista.
«Quest’anno è un all in, le sensazioni di crescita le vedo già, sono curioso di vedere fino a dove arriveranno.»
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