Chi cresce in Sicilia questa frase se la sente dire fin da piccoli, non c’è mamma che non l’abbia detta almeno una volta.
La camurria in siciliano è una “scocciatura” imprevista, ma anche l’essere fastidioso o talvolta noioso, viene usato per indicare qualcuno che ci infastidisce in modo pesante e pressante o quando non ci va di fare qualcosa ma la si deve fare per forza. Insomma ci possono essere molte e diverse camurrie in una giornata.
Ma qual è l’origine di questo termine? Ci sono diverse ipotesi.
Nel suo “Nuovo dizionario siciliano-italiano” del 1876, Vincenzo Mortillaro descrive la “camurria” come una “specie di malattia, simile alla scolagione celtica, virulenta, contagiosa, venerea, simile alla gonorrea”. Da questa descrizione, per metafora, si può evincere il concetto di “noia, fastidio, importunità”.
Secondo altre teorie, invece, il termine potrebbe derivare da “camula”, che rappresenta il tarlo. Quest’ultimo, con il suo fastidioso “camuliare”, emette un caratteristico e ossessivo rumore mentre consuma il legno.
Un’altra possibile origine del termine potrebbe essere collegata alla parola “camorra”, organizzazione mafiosa della Campania nota per il suo comportamento di ricatti, minacce ed estorsioni, spesso espressi con toni marcatamente ostinati.
Ma c’è un’altra teoria dall’aria più fiabesca, perché in Sicilia tutto è un pò leggenda. Si narra di un’isola situata nel cuore del Mediterraneo, dove viveva una giovane di nome Camurria. Una donna dalla straordinaria bellezza ma con un carattere difficile, che alla fine portò anche il re di Sicilia all’esaurimento.
Tuttavia, c’è qualcuno, più di chiunque altro,che ha contribuito a farci apprezzare questa parola e molte altre del nostro dialetto, ed è stato Andrea Camilleri con i suoi personaggi: “Bih, che grandissima camurria” sbottò Montalbano.
Perché se c’è una cosa che noi siciliani sappiamo fare davvero bene, da Palermo a Catania, è essere camurriusi.