Un cammino professionale, il richiamo della Sicilia e l’amore per le cose semplici hanno messo in discussione la vita di Francesco Lisciandra, tracciando la strada verso casa.
Se si potesse riassumere in un incipit questa storia di ritorno, la potremmo sintetizzare attraverso le famose parole di una delle canzoni d’amore più belle di Antonello Venditti: “Certi amori, non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”.
L’amore è un concetto complesso e multiforme che può manifestarsi caratterizzato da mille diversi elementi. Non si può quantizzare, un numero ne svilirebbe il profondo significato. L’amore per una persona, per una professione, per le proprie attitudini, per la Terra natia, per le proprie radici, ci guida come una bussola nella carta nautica della nostra vita, nelle scelte che facciamo per raggiungere un obiettivo che, i più passionali, chiamano sogno.
Nel diario di bordo scriviamo quotidianamente pagine e pagine di sapere, esperienza e poliedrica formazione per arrivare a padroneggiare il timone della vita con destrezza, seguendo l’autenticità del nostro “Io”. È ciò che è accaduto in questa storia di ritorno, una storia che sa di un amore “spirituale” per la Sicilia, per le sue sfumature di verde e di blu, i colori preferiti di Francesco Lisciandra, sommelier per passione, la stessa che lo ha guidato verso il piacere della condivisione della buona tavola e che ha fatto nascere in lui il desiderio di esplorare il mondo e di coglierne i frammenti più coinvolgenti che lo hanno ispirato.
Dopo diversi anni vissuti nella capitale, dove ha conseguito la laurea come Tecnico di Cardiochirurgia, conseguita a La Sapienza di Roma, Francesco ha scelto di fare ritorno in Sicilia. A guidarlo nel suo viaggio di rientro è stato il nettare degli Dei: Il vino che, come lui stesso afferma – doveva essere parte integrante della sua vita e della sua passione – oggi diventata la sua professione senza tempo.
Francesco Lisciandra ci racconta il suo percorso, intriso di tre valori per lui fondamentali: le relazioni umane, l’amore per la Sicilia e l’impegno sociale.
Francesco le coste che tracciano il tuo cammino professionale sono varie e a tratti frastagliate, quali sono gli elementi che le hanno caratterizzate?
“Questa domanda mi fa pensare all’inizio di una canzone di David Bowie, “Changes”, la prima strofa comincia con: “I watch the ripples change their size, ovvero “Guardo le increspature delle onde cambiare dimensione”.
Come quando si è in mare aperto mentre è in tempesta vedevo motivazioni che si frantumavano, perplessità che lasciavano sempre più spazio ai dubbi. Entusiasmi che si spegnevano e paura di non farcela, ma soprattutto di deludere i miei genitori.
Mi sono chiesto più volte se la strada professionale intrapresa, ovvero quella ospedaliera, fatta di reparti e sale operatorie, fosse quella giusta, anche se si dimostrava apparentemente sicura, ho preferito correre il rischio e ascoltare il cuore, non quello della cardiochirurgia, ma quello per il Vino e le persone che gli ruotano intorno mescolandosi con lui.
Credo che mancasse la giusta messa a fuoco per vedere meglio quell’onda un po più alta che mi avrebbe cambiato la vita. Ed ecco che il coraggio, l’ambizione e la voglia di mettermi in gioco, hanno acceso quelle micce che mi hanno messo sul percorso più azzeccato.”
La Sicilia stimola i sensi e nutre l’anima. Il gusto e l’olfatto hanno aperto una porta verso la tua professione di sommelier, ci racconti come e quando hai capito che quella del vino sarebbe stata la tua strada?
“L’amore per il vino arriva quasi per caso, anzi, fu proprio lui a trovarmi: una sera mi invitarono degli amici a cena a Roma, con dei sommelier professionisti: degustare tutti quei sentori, le storie legate a quelle etichette, l’accostamento gastronomico spiegato con cura e devozione, aprirono una voragine che non riuscii più a fermare.
Cosi abbandonai quel porto sicuro, chiamato “posto fisso”, in ospedale e mi buttai a capofitto verso l’ignoto. Rientrai in Sicilia e contattai subito la delegazione dell’Ais di Palermo e mi iscrissi al corso. La curiosità e la voglia di approfondire mi portarono con tanta adrenalina al conseguimento del diploma di terzo livello prima e del master in marketing del vino e viticoltura a Milano dopo. Avevo trovato la mia strada. Credo che alcuni segnali fossero evidenti già prima, come il piacere dello stare insieme e della condivisione.
La passione per la buona tavola e la cucina. Ho capito di amare il mondo del vino quando ho perso l’idea del tempo e dello spazio: non guardavo più l’orologio durante le ore di lavoro. Solo in quel momento ho compreso di essere nel posto giusto amando la mia professione. Aveva ragione Confucio nella sua frase: “Scegli il lavoro che ami e non dovrai lavorare nemmeno un giorno della tua vita”. Non un motto scontato ma pura verità.”
Succede sempre qualcosa di bello davanti ad una bottiglia di buon vino?
“Credo che il vino sia il miglior catalizzatore di relazioni. Da sempre. È una storia d’amore e passione, che abbraccia l’umanità e attraversa millenni di storia. Nel corso dei secoli ha preso parte a vicende di diverso genere, d’amore e d’amicizia, è stato ed è il protagonista di culture e popoli; ha ispirato poeti, artisti e scienziati, diventando un patrimonio culturale condiviso. Il vino unisce, tesse trame di storie di un tessuto chiamato Legàmi. Un potere non indifferente! Può succedere solo qualcosa di bello e puro davanti ad una bottiglia di vino, se siamo pronti ad ascoltare e a farci guidare come un demiurgo.”
La Sicilia è la più grande area vinicola bio d’Italia con il 30% dell’intera superficie nazionale e il 90% delle cantine ha una struttura adibita a visite e degustazioni. Sono dati riportati dal Sole 24ore. La cantina per cui lavori fa parte di quel 90%, il vino siciliano è un asset prodigioso per la nostra economia, credi che le cantine ne abbiano piena consapevolezza o si può fare ancora qualcosa per migliorare?
“I dati del sole 24ore mi rincuorano perché mettono nero su bianco una consapevolezza importante e ci fanno capire che siamo nella giusta direzione. Ma attenzione, fare accoglienza enoturistica oggi non significa soltanto vendere le bottiglie alla fine di una visita, oppure semplicemente degustare in compagnia, cosa assai importante per carità, ma significa soprattutto far vivere un’esperienza, un’emozione, che il cliente si porterà dietro nel tempo. Il “segreto” è uno story telling autentico, identitario, vero.
È li che ti distingui, che fai la differenza. Io lavoro a Vittoria, nell’azienda Agricola Arianna Occhipinti, una realtà che ha sempre fatto della biodiversità un asse valoriale portante. Siamo nel cuore della zona di produzione dell’unica Docg siciliana, il Cerasuolo di Vittoria, un vino incredibilmente elegante e storico, blend di uve Nero d’avola e Frappato, spesso ancora poco conosciuta agli stessi abitanti. Ecco, penso che dovremmo dare più peso alla comunicazione e alla contaminazione della ricchezza che questo territorio possiede.”