Vi è mai capitato di vedere per strada due persone che parlano animatamente, magari a braccetto e con fare complice e allo stesso tempo circospetto?
La loro espressione curiosa e concentrata vi ha fatto pensare che stessero condividendo qualche informazione riservata? Bene, è probabile che stessero discutendo di qualche pettegolezzo di quartiere, di notizie riguardanti parenti, conoscenti, vicini di casa o vecchi amici. Questo tipo di conversazione in Sicilia si chiama “curtìgghiu”.
Questa abitudine è così diffusa che nel dialetto locale esiste da secoli questo termine “curtìgghiu” o “cuttìgghiu”, spesso italianizzato in modo improprio con la parola “cortile”, potremmo tradurlo con fare gossip: il pettegolezzo, un vero e proprio taglio e cucito di fatti, storie, persone e eventi.
Lo scrittore Andrea Camilleri, nei suoi racconti di Montalbano, utilizza anche l’espressione “fare un cortile” o “fare un cortiglio”. È importante notare che questa espressione non esiste in italiano e sarebbe incomprensibile per chi non è originario dell’isola o non è familiare con il dialetto locale.
Ma da dove deriva questo parola? Il termine deriva dallo spagnolo cortijo e indicava una specie di cortile, una sorta di pozzo di luce spesso all’interno del palazzo. Proprio qui ci si incontrava, per poter parlare e sparlare in tranquillità, senza quindi essere ascoltati dagli altri: un momento conviviale, dedicato ai commenti in merito all’uno o all’altro.
Col passare del tempo, il “curtìgghiu” è sopravvissuto al cortile dei palazzi ed è diventato un termine di uso comune, che rende in modo pittoresco e popolare il pettegolezzo praticato da chiunque e in qualsiasi in ogni zona, a condizione che ci si trovi entro i confini della Sicilia.