Una torre e un leone in campo azzurro, è il simbolo di “Leontinoi”, la città di Lentini, sentinella nella valle del Simeto. Luogo di approdo di popoli venuti da lontano: i Siculi e i Calcidesi. Intersezione di antiche vie, solcate da tiranni, santi e imperatori. Leonina, fiera, nobile, ma nello stesso tempo fragile e porosa, attraversata dagli eserciti, dall’acqua, dalla storia, fino a perdere la memoria.
Un crocevia strategico, un ponte verso i mari, il limite meridionale della valle, solcata dai fiumi, scavata nella roccia, custode di acqua santa nelle sue profondità di pietra. Una città torre che governa uno spazio geografico, insieme alla sua gemella – Hybla Major (Paternò) – con cui condivide la narrazione mitologica del Gran Conte Ruggero.
Una città che nasconde mille segreti, nascosti dentro la pietra, lontano dagli sguardi, ridondanti di Dei e di Santi. Un’acropoli cinta dall’acqua, sepolta dalla natura, storpiata dall’uomo e abitata dagli spiriti. Custode di un kouros enigmatico, diventato altro, ricomposto come per caso.
Una città ricca di strati, di sedimentazioni, di anfratti. Custode di anfore, statue, monili delle stirpi siracusane, campane, megaresi e iblee. Campagne, templi, santuari, basolati e vie sacre, tombe e agorà. Sepolte ma vive nella letteratura, nelle fonti, come fantasmi sottili. Un paesaggio di acqua sotterranea che lambiva la città, con un porto, un mercato, oggi sembrano un deserto di terra e case che invadono la storia cambiandole la forma.
Grotte sacre, di madonne e di cristi, di santi e di madri, di pastori e di dee. Sentieri nascosti tra le pieghe della città, che portano ai santuari di Demetra, di Cibele. Orientati, dalla forma uterina, trasformati in ecclesie rupestri, nella cattedra di Maria. Un paesaggio convertito, strappato al demonio, al paganesimo naturalista.
Luogo di rifugio e contemplazione, leggendario e mitologico. Manifesto di cristianità, di rinnovamento, di santità. Un sentiero che attraversa le antiche pietre, che accoglie gli eroi della storia: Riccardo da Lentini e Federico II, Timoleonte e Dionisio, Ruggero e Jacopo da Lentini. Architettura, poesia, retorica.
Luogo vivo, dinamico e poi spento. Le sue case sono scavate nella roccia, la città prende la forma dalla topologia della rocca e dopo si distende verso la valle, ordinata e regolare, sempre più verso il mare, verso quel sistema geografico che disegna un triangolo perfetto tra Katana, Hybla Major e la stessa Leontinoi.
Narrata e abitata, trasformata e abbandonata. Attraversata e scavata. Oggi celebra i suoi santi cristiani, Alfio, Cirino e Delfio. Li conserva nei pozzi, nelle icone, nelle processioni, nelle pitture e nelle sculture, di legno e d’argento. Dentro la basilica nuova, disegnata dalla luce nella città bassa.
I santi che hanno estirpato il male, il culto pagano, per cristianizzare prima dei normanni, prima degli arabi, prima dei bizantini. Una santità diffusa e profonda, profumata d’incenso e di zagara fresca. Una terra coltivata da altri a grano e orzo, da popoli amici di Roma, e vessata da Verre come ci racconta Cicerone.
Il viaggio tra le sue antichità è accompagnato da una musa, da una sacerdotessa riapparsa per caso dalla roccia. Una fanciulla che segna e accompagna, che rivive nella storia, che ripara le cose e la memoria, una guida necessaria per visitare Lentini.
Forse un fantasma, forse un ricordo, forse una ninfa. Tra arte e architettura, tra archeologia e antropologia, curiosa di sapere e di narrare. Dolce, dal sorriso rassicurante, sembra l’ancella di Demetra, la figlia di Riccardo da Lentini, la devota dei Santi.
Leontinoi, guarda verso la montagna, quella chiamata Etna, guarda la sua valle, non dimentica Siracusa e Federico II con il suo biviere prezioso. La sacerdotessa ci accoglie come è giusto che sia e sfiora la nostra anima curiosa. Questo viaggio ha rivelato una nuova meta che andrebbe svelata a tutti e la Madonna di Antonello Gagini impreziosisce come sempre il visitatore, regalando un’emozione segreta.