Santa Maria La Nave, autentica boutique winery sull’Etna
“Vorrei passare tutta la vita con una dea irrazionale e sospettosa con un assaggio di gelosia furibonda come un contorno e una bottiglia di vino che abbia il tuo sapore e un bicchiere che non sia mai vuoto”.
Ho scelto questa frase di Max Skinner, tratta dalla sceneggiatura del film “Un’ottima annata” di Ridley Scott, perché dentro c’ho trovato una storia, quella del protagonista al quale una vigna risolve la vita e… sapete perché? Perché quando si mette il naso in un calice di vino avviene qualcosa di magico. Si attraversa un mondo in cui i cinque sensi si schiudono e assaporano un racconto che emoziona, attraverso una promessa che si rinnova anno dopo anno, bottiglia dopo bottiglia.
Il profumo del vino narra in modo quasi inequivocabile la sua storia, dal vigneto al calice.
L’uva naturalmente è l’elemento primario che offre i suoi fondamenti reclamando in modo forte il territorio in cui è nata, rafforzando il proprio carattere, un po’ come è avvenuto per la donna che ho conosciuto per caso, e ho intervistato per la passione che mi ha trasmesso, raccontandomi della sua vigna e dalla sua cantina: Sonia Spadaro Mulone, proprietaria di SantaMariaLaNave.
Sonia mi ha raccontato che da piccola guardava dalla finestra le eruzioni dell’Etna restando incantata e che poi, crescendo, ha nutrito con amore la sua imperante passione per la storia e l’archeologia che, ancora oggi, lega e rievoca miti e leggende all’evoluzione della nostra maestosa “muntagna”. È stato come se il luogo stesso avesse richiamato la sua attenzione, attirando i suoi passi dentro i terreni dei suoi vigneti: Casa Decima, sul versante nord-ovest dell’Etna a quota 1100 metri, chiamata appunto Contrada Nave, e Monte Ilice, un cono vulcanico, tra i più grandi, creato dalle esplosioni di lava.
Sonia vive a Milano, ma le sue radici sono saldamente intrecciate a quelle dei suoi vitigni.
Sonia com’è nato il tuo amore per la vite?
È stato un amore inaspettato, eppure, così come l’Amore Vero, atavico e autentico.
Il primo bicchiere di vino della mia vita, l’ho bevuto al primo appuntamento con colui che poi sarebbe diventato mio marito. Il mio amore per la vite è nato dunque dall’amore stesso.
Poi quando sono andata in Contrada Nave nel versante Nord-Ovest dell’Etna, e ho visto le viti di grecanico dorato brillare, fiere e felici al sole di uno splendido pomeriggio estivo, sono stata profondamente e intimamente colpita da quel luogo così selvaggio, riservato, che mi è apparso quasi magico. Da lì è stato un divenire di eventi che mi hanno portato a dedicare la mia vita ai miei due vigneti: due meravigliose oasi dì biodiversità etnea di cui sono molto orgogliosa.
Il vino oggi è considerato un fatto culturale. Tu cosa ne pensi?
Il mondo del vino è molto complesso, pieno di sfaccettature caleidoscopiche, a volte colorato e altre in ombra. Esistono vini che sono il risultato di meri e freddi processi industriali, in cantina e anche in vigna. Esistono vini che sono il frutto di una cultura enologica di una regione o di una zona specifica, in alcuni casi anche frutto di secoli di esperienza. Per fortuna, esistono anche quei vini che perseguono l’eccellenza e sono puri atti d’amore nei confronti di un territorio, di una varietà, della storia, di una cultura senza tempo, retaggio di tradizioni, passioni e conquiste.
I tuoi vini si possono inserire in quel filone chiamato “naturale” e se sì perché?
Ad essere sincera, non esiste una legislazione che normi la definizione di vino naturale. Esistono alcune regole o disciplinari prevalentemente di associazioni private o gruppi di agricoltori, nulla di conclamato. L’unica regolamentazione ufficiale in vigore è quella relativa al vino biologico. Io opero in un rigido regime biologico sia in vigna che in cantina, così come facevano gli antichi viticoltori prima di me, e ne vado fiera nonostante le tante difficoltà.
In parecchie regioni d’Italia si stanno portando avanti progetti di riscoperta di vitigni autoctoni, è un vantaggio che il tuo sia situato alle falde dell’Etna?
La mia passione e attenzione sono esclusivamente rivolte ai vitigni autoctoni dell’Etna, dedico tantissime energie a riscoprire, far conoscere e preservare i vitigni reliquia, ossia quasi estinti.
Lavorare sull’Etna, da questo punto di vista, è una vera fortuna: il mio vigneto di Monte Ilice è un archivio di varietà antiche e che nessuno ha mai assaggiato in purezza. In questo progetto collaboro con l’Università di Catania.
Lo ritengo un atto di profonda attenzione e cura a ciò che è stato, al presente di cui viviamo con fierezza e umiltà ogni singolo istante, e nei confronti delle generazioni future, dei nostri figli, a cui lasciamo un patrimonio di conoscenza unico.
La riscoperta dei vitigni reliquia è un’attività dura, ma anche molto entusiasmante che appaga la mia grande passione per l’archeologia. Il giorno che riuscirò assaggiare questi vini a cui sto lavorando con tanto ardore, sarà come aver riportato alla luce Atlantide.