Dopo un periodo lontano dall’isola, il suo ritorno segna l’inizio di un mondo creativo che reinventa simboli iconici trasformandoli in manifesti culturali.
La Sicilia, isola dal fascino inesauribile e dai contrasti magnetici, non è solo uno spazio geografico, ma una vera e propria dimensione dell’anima. Per Alice Valenti, artista catanese dall’innata sensibilità, la sua terra natale rappresenta il luogo in cui tradizione e modernità si intrecciano in un dialogo eterno. La sua è una storia di ritorno, un viaggio circolare che, attraverso l’allontanamento, le ha permesso di riscoprire l’essenza di ciò che aveva lasciato.
Alice nasce e cresce respirando il profumo salmastro del mare siciliano e osservando le sfumature cangianti di un’isola dai mille volti. Tuttavia, come accade a molti giovani con un talento in fiore, l’orizzonte della Sicilia le appare troppo ristretto. Si trasferisce al Nord per perfezionare la sua formazione artistica e ampliare i suoi orizzonti. Qui, tra correnti d’avanguardia e nuove tecniche espressive, Alice apprende il valore dell’innovazione, ma inizia anche a percepire il richiamo delle sue radici, un richiamo che si fa via via più pressante.
Durante i suoi anni lontano dall’isola, si rende conto che ciò che davvero la definisce è il legame con la Sicilia, con la sua cultura e la sua gente. Il viaggio di ritorno non è solo fisico, ma profondamente emotivo e spirituale. È un ritorno alla memoria, ai suoni e ai colori che avevano plasmato la sua infanzia.
Una volta tornata a Catania, inizia a esplorare il patrimonio artistico e simbolico dell’isola, restituendolo al mondo attraverso un linguaggio nuovo. Tra i suoi progetti più iconici, la rivisitazione del carretto siciliano è un atto d’amore e resistenza culturale. Questo antico mezzo di trasporto, ornato di vivaci scene narrative e motivi decorativi, diventa nelle sue mani una tela viva che intreccia la tradizione con una visione artistica contemporanea.
Ma per Alice Valenti, l’arte non è solo creazione, è anche interrogazione. Il carretto siciliano non è solo un oggetto folkloristico, ma un simbolo di identità, resilienza e memoria collettiva.
Nei tuoi lavori il carretto siciliano diventa non solo oggetto d’arte, ma anche un manifesto culturale: come riesci a bilanciare la forza evocativa della tradizione con la libertà creativa del presente?
Ho iniziato con il carretto siciliano perché è un oggetto d’arte codificato con delle regole precise che affondano le radici in un tempo passato e che, il mio maestro, è stato capace di trasmettermi nel corso del mio apprendistato nella sua bottega. Successivamente ho iniziato a maturare l’interesse per i carretti delle altre province siciliane, poi ho iniziato ad utilizzare il motivo artistico del carretto su altri oggetti d’arredamento in stile carretto siciliano. Dopo anni di esperienza, per esigenze che toccavano la mia sensibilità oltre che la mia creatività, ho iniziato a dipingere, anche altre figure su una serie di tavole: i cavalli bardati. Piume, finimenti, quasi un volere raffigurare delle creature metafisiche.
La tua arte sembra catturare la Sicilia come un mosaico di contraddizioni: bellezza e malinconia, nostalgia e innovazione. Quali sono le emozioni o i luoghi che più ispirano questa dualità?
La mia permanenza al Cantiere Navale Rodolico mi ha permesso di vivere un altro aspetto della varietà culturale della Sicilia. È un luogo storico in cui già dagli inizi del 1800, venivano costruite le barche, utilizzate sia nel borgo marinaro che nei paesi limitrofi. Questo cantiere era a pieno titolo un tassello molto importante per l’economia di quel tempo. La nascita del motore ha segnato un’altro cammino, quello dei grandi moto pescherecci. Salvatore Rodolico, maestro d’ascia, tesoro umano vivente, iscritto nel registro del R.E.I.S. (registro delle eredità immateriali della Sicilia), ha avuto la grande capacità di cavalcare l’onda di questa innovazione tecnologica e di tramutare il suo saper fare in un mestiere che si avvicina molto a un sapere ingegneristico. Ho tratto anche da questo mondo l’ispirazione per le mie opere, come la pittura delle barche, anche questa codificata con un’iconografia ben definita, somigliante a quella del carretto ma più semplificata in quanto le barche vengono manutenute molto più frequentemente.
Se potessi scegliere un simbolo o un elemento della cultura siciliana meno conosciuto per trasformarlo in opera d’arte, quale sarebbe e come lo racconteresti attraverso il tuo linguaggio visivo?
Simboli ne vedo di continuo intorno a me. Traggo ispirazione da tutto, anche dalle persone che osservo per strada mentre cammino, o al mare. Uno dei miei soggetti iconici ritrae delle signore che ho notato un giorno in spiaggia; erano sedute, una accanto all’altra, sulle spiaggine semi immerse in acqua, nelle loro forme morbide e generose. Alle loro spalle, credo, le famiglie di entrambe. Il simbolo che mi ha lasciato questa immagine, e che poi mi ha spinta a creare, è stato quello del matriarcato.
Attraverso le sue opere Alice ci invita a riflettere su cosa significhi davvero appartenenza non come un vincolo, ma come una fonte inesauribile di ispirazione. E così, il suo racconto diventa il quello di un’isola che non smette mai di reinventarsi, un luogo in cui il passato non è mai davvero passato, ma una linfa viva che nutre il presente e il futuro.