“Abitavamo a ridosso del mare. Mio padre non aveva voluto prendere casa al quartiere ebraico, la giudecca. Troppo anguste le strade. Troppo debole lo squarcio di sole che avrebbe potuto raggiungerci”.
Il sole, il mare, le stelle, l’aria. Sono questi gli elementi che Simona Lo Iacono incastona tra le pagine di “Virdimura”, il suo ultimo romanzo edito da Guanda, per narrare la meravigliosa storia della prima medica e chirurga al mondo.
Un Libro tutto da visitare: l’autrice ci descrive la Catania del 300, fornendoci una mappa dell’antico quartiere ebraico: diviso in due parti, prendeva il nome di Judecca Soprana e Judecca Sottana, estendendosi lungo il fiume Amenano.
Il quartiere era compreso tra le attuali chiesa di Sant’Agata alle Sciare, la Pescheria (più precisamente presso il Pozzo di Gammazita) e via Marano. La sinagoga era ubicata dov’è oggi la via Recupero, presso la chiesa dei Santi Cosma e Damiano.La dislocazione della comunità ebraica si può desumere anche dall’attuale toponomastica: via Marano deriva propriamente da marrano (“maiale” in spagnolo), cioè il termine dispregiativo riferito agli Ebrei convertiti al Cristianesimo, accusati di continuare a professare il loro culto di nascosto, mentre via Gisira viene dal termine islamico jizia, cioè la tassa che veniva versata per la libertà di culto.
Ebrea era la protagonista del suo ultimo romanzo, il cui nome peculiare raffigura il muschio che affiora tenace sulle mura di Catania. La prima medica e chirurga realmente esistita, la cui aura luminosa e generosa nei confronti di tutte le persone bisognose in città, ha scatenato furiose reazioni da parte degli scettici.
Come poteva una donna effettuare pratiche mediche? Come riusciva a guarire le più svariate patologie con soli ingredienti naturali? Come poteva gestire un luogo di ritrovo per i bisognosi? Era forse una strega?
Cresciuta tra mille intemperie e disgrazie a ridosso del mare, Virdimura è un perfetto simbolo di resilienza. Da sola e con le sole conoscenze tramandate dal padre Urìa, ha creato a Catania un ospedale gestito dagli stessi pazienti, un ecosistema e una casa aperta a tutta la comunità.
“A Catania c’erano sì gli ospedali confraternali, augusti doctori, ma erano più luoghi di accoglienza per mendicanti, vecchi, vedove, che centri di cura. […] Non esistevano spazi che il malato potesse definire casa, in cui guardare da una finestra aperta il viaggio della luna, o il via vai dei distratti, degli inquieti pellegrini del mondo. Non c’erano medici a cui poter confidare: Resta con me, è troppo lunga la notte […].”
L’aura mistica e saggia del padre la seguirà per tutto il suo percorso di crescita: fu lui ad insegnarle a guarire sia i corpi sia le anime, senza distinguere tra musulmani, cristiani o ebrei.
“Mio padre diceva che non c’erano solo le piante a fornire la cura. Ma la musica. Il ritmo. Il bagno in mare. La conversazione con i poeti. L’osservazione delle stelle”.
Virdimura fu medica ma anche madre, sorella e guida per tutti, indistintamente dalla propria religione. “[…] all’interno dell’ospedale le ebree non si distinguevano dalle cristiane e non esibivano la rotella rossa sugli abiti”.
Ha creato un ospedale in cui aggirarsi non come malati, ma come abitanti di uno stesso luogo. Chi veniva curato restava spesso a curare gli altri e tutti partecipavano all’economia dell’ospedale con il proprio contributo: c’era chi si occupava dell’orto, chi della creazione di oggetti in ceramica, chi tesseva per produrre stoffe e arazzi, chi era dedito alla linocoltura. Tutto veniva poi venduto al mercato.
“Mettemmo su una casa povera, e perciò ricca, augusti doctori, in cui nessun medico era più importante del malato”.
Gli “augusti doctori” a cui Virdimura fa appello, sono i membri della Commissione di giudici riunita per decidere se concederle, prima donna della storia, la licenza per curare.
Ormai anziana, Virdimura ripercorre tutta la sua vita grazie alla narrazione sapiente e poetica di Simona Lo Iacono, che con ogni suo romanzo riesce a toccare le corde più sottili delle emozioni.
Come sempre, l’autrice utilizza le “parole poetiche, quelle che abitano più la realtà che l’irrealtà” (concetto perfettamente delineato nel suo stupendo penultimo romanzo “Il mistero di Anna” ndr) per descrivere una delle più grandi figure della storia, colei che ha permesso di affermare il diritto di tutti a essere curati e delle donne a essere libere.
Una storia tanto reale quanto magica. Forse Virdimura un po’ strega lo era: guariva con la bontà, ma soprattutto con il coraggio.